Si è tenuto nel pre partita di Sassuolo-Pisa, il convegno dedicato al settore giovanile con il titolo “Educhiamoli nella crescita”, che vedrà coinvolte le società sportive affiliate al Sassuolo Calcio e nell’education experience nell’ambito del progetto Generazione S.
La pancia del “Mapei Stadium” ha ospitato oltre 250 dirigenti, provenienti da tutta Italia e hanno trattato con esperti del settore la corretta educazione dei giovani in ambito sportivo e non solo. Ad aprire l'evento Veronica Squinzi, amministratrice delegata di Mapei e vice presidentessa del Sassuolo: "Generazione S serve per i giovani e per tutti i ragazzi che predono lo sport come un valore quindi fair play, giocare insieme, stare insieme, e questa è una cosa a cui noi crediamo moltissimo, è stato un progetto voluto fortemente dai miei genitori" ha detto.
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Nella sala del Mapei Stadium, nella prima parte dell’incontro, il Direttore Sportivo Francesco Palmieri ha affrontato il tema del senso di squadra, mentre la Responsabile Safeguarding Dott.sa Cecilia Glorioso analizzerà la duplice funzione dell’adulto nella relazione genitore-spettatore. Ecco in sintesi l'intervento del direttore sportivo neroverde: "In questi dieci anni abbiamo dimostrato di avere le idee chiare, dare le possibilità ai ragazzi di crescere calcisticamente e non, perché cerchiamo di trasmettere valori tecnici e morali. Grande attenzione ai ragazzi del territorio e per i fuori sede perché fare i calciatori non è facilissimo però chi ci prova deve provarci nella giusta maniera. Non deve avere come unico scopo quello di fare il giocatore perché non è semplice ma noi ci siamo messi d'impegno, tanto lavoro, e siamo riusciti a creare qualcosa che ci ha dato soddisfazione. Abbiamo vinto lo Scudetto Primavera e non solo ma le soddisfazioni più belle sono quelle di far crescere questi ragazzi, dargli un percorso di un certo tipo, dargli delle direttive di grandissima linearità per la vita di tutti i giorni. Poi se guardiamo i numeri ci sono tanti ragazzi che si sono affacciati nel calcio professionistico, alcuni hanno esordito in Champions League. Abbiamo una proprietà forte. Abbiamo delle idee. Il gruppo Mapei ha dimostrato negli anni di voler fare le cose in una certa maniera. Il calcio in generale, lo sport in generale, deve attingere dai giovani che sono una risorsa tecnica ed economica per i club. Aneddoti? Una marea! Quando sono arrivato c'era da impostare tutto il lavoro, dalla segreteria al numero di squadre, e siamo riusciti a creare un settore giovanile che si è fatto conoscere e penso che anche in futuro possa fare anche meglio. Io vengo da una famiglia numerosa e penso che i successi e gli insuccessi siano da dividere in tutte le componenti ma se hai una proprietà che ti fa fare le cose in un certo modo è tutto più semplice. Lavoriamo in una società che ci ha messo a disposizione tante armi per creare i presupposti per fare un buon lavoro. Il segreto principale per creare un gruppo? Credere! Non bisogna mettere troppe pressioni ai giocatori, ultimamente tra i genitori e chi li segue, questi ragazzi hanno tante pressioni. Se li facciamo divertire e noi che li seguiamo ogni giorno possiamo dar loro degli insegnamenti di un certo tipo. A volte far sentire anche più bravo qualcuno se è meno bravo può essere uno stimolo per dare il massimo. A volte arrivano dei ragazzini di 9-10 anni che hanno dei procuratori, mi sembra fuori di testa. Non è facile nel mondo del calcio, bisogna lasciare tranquilli questi ragazzi perché quando si è giovani bisogna fargli vivere la giovinezza nel migliore dei modi".
"Il mio passato da calciatore? La prima cosa che cerco di trasmettere è che non facciano gli errori che ho fatto io (ride, ndr). Cerchiamo di far capire loro l'importanza di quello che si sta facendo. Ci vuole sempre grande sintonia tra vari reparti. Lavorare con i giovani è difficile, ci vuole grande passione, grande attenzione. È facile fare dei danni con i giovani e questo è quello che noi non dobbiamo fare perché con i ragazzi, con quelle fasce d'età, bisogna prestare attenzione. Manca la voglia di sacrificarsi? Ai miei tempi non c'era il telefonino, i miei figli hanno il telefonino, il computer, hanno tutto. Qualcosina manca ma ci dobbiamo adattare noi alle giovani generazioni, far capire che non è tutto scontato. Ognuno di noi poi ha la propria strada e la propria storia, uno deve vivere con la voglia giusta e nemmeno con l'ansia di farlo a tutti i costi. Se si ha la fortuna di fare il calciatore è una grandissima cosa ma uno può essere utile anche in altri mestieri. L'importante è fare tutto con il massimo impegno. Mentalità? Non siamo uguali, ognuno è fatto alla propria maniera. Penso che chi sia al comando debba essere bravo a trovare la chiave per ogni ragazzo, bisogna far sentire i ragazzi persone di valore, farli sentire apprezzati, per dare il giusto equilibrio tra il lavoro e tutto il resto perché quando una persona si sente apprezzata poi può dare il massimo, ovviamente se qualcuno sbaglia poi è importante non dargli addosso, far capire l'errore ma andare avanti. Se diciamo a uno che è sempre un asino va a finire che ci crede e diventa un asino, se facciamo sentire che una squadra è forte, secondo me, nella giusta maniera vanno al di là dello sforzo e fanno dei bei risultati. Quello dei genitori che stanno attaccati ai figli è un grandissimo problema, a volte mi chiedo se lavorano o no perché sono sempre presenti ai campi. Non va bene, non lasciano esprimere il potenziale del giovane, non li lasciano sereni, perché a volte i ragazzi distolgono l'attenzione per guardare il genitore cosa dice e cosa fa. Bisognerebbe non far entrare i genitori, farli lavorare in maniera autonoma per dar forza ai dirigenti e agli istruttori, per una crescita mirata dei ragazzi. Se tutti insieme si lavora per la crescita si ottengono sicuramente risultati migliori".
A seguire è andata in scena una tavola rotonda dal titolo “La figura dell’arbitro” che ha visto coinvolti Giovanni Carnevali, Amministratore Delegato e Direttore Generale del Sassuolo e l’ex arbitro Daniele Orsato ora Referee Development Manager.
Carnevali: "Il nostro progetto Generazione S è nato un po' di anni fa con il volere del dottor Squinzi e della dottoressa Spazzoli, un progetto che si sta allargando sempre di più, la settimana scorsa anche una società canadese si è legata a noi. È un progetto speciale, è per i giovani, per cui anche se una società è gemellata con altre società non ci interessa perché ci interessa il calcio e dovrebbe essere così per tutti. Una società di calcio professionista con tutti i suoi collaboratori può essere d'aiuto ma delle volte anche noi prendiamo spunto. Abbiamo avuto il nostro direttore sportivo che è partito dal settore giovanile. Abbiamo fatto tante cose in questi anni. Ringrazio anche la nostra psicologa che si occupa dei maschi ma anche delle ragazze. Sono importanti i successi in campo ma anche quelli fuori dal campo".
"Noi abbiamo sempre avuto un buon rapporto con il sistema arbitrale. Parto sempre da chi sta al vertice, la proprietà, io, le persone che lavorano con noi. Fare l'arbitro oggi è una cosa complicata, difficilissima. Io penso al rapporto arbitrale dei giovani perché è da lì che si parte. Io ho iniziato dai dilettanti e lì vedi tanti problematiche. Noi dobbiamo cercare di essere d'esempio, dobbiamo cercare di aiutare l'arbitro quando arriva al campo ma dal campo piccolo, quello dove ci sono i genitori attaccati alla rete, perché pariamo sempre dei giovani. L'arbitro deve far rispettare delle regole, poi può sbagliare, tutti possiamo sbagliare, ma il comportamento, l'educazione, il rispetto, devono essere alla base. Noi dobbiamo insegnare agli altri. È difficile insegnare ai genitori ma dobbiamo partire dai ragazzi per arrivare ai genitori perché noi siamo anche una scuola. Noi come società affrontiamo tante cose, non solo il rispetto dell'arbitro. Il cellulare, il rispetto, perché quando giochi devi divertirti e devi lasciar perdere altre cose. Fa parte delle cose che noi dobbiamo dare come educazione. Oggi anche fare il genitore è difficile ma non dobbiamo arrenderci ma non dobbiamo ascoltare certe situazioni di arbitri aggrediti, è inammissibile. Se l'arbitro non c'è e la partita non si gioca poi è anche peggio. Il rapporto con l'AIA? Con gli arbitri è una questione anche di empatia, ci deve essere, fa parte del mondo comune. Ci vuole molta personalità dagli arbitri e in questo momento dai giovani, è un dato di fatto, ce n'è un po' meno. È difficile trovare un altro arbitro come Orsato. Probabilmente ci vuole una scuola per farli crescere. La nostra squadra si allena ogni giorno sul campo, l'arbitro si allena tutti i giorni per l'aspetto fisico e la preparazione ma sul campo ci va una sola volta a settimana e magari a volte è troppo poco perché certe situazioni le vivi sul campo. La volontà c'è ma ci sono poi delle difficoltà che non è facile superare".
"I settori giovanili devono essere l'anima delle società. È normale che per i grandi club è più complicato, magari può essere più semplice per una società come la nostra. Noi abbiamo fatto una ricerca su giocatori talentuosi di altri club per fargli fare magari altri percorsi e poi i risultati li abbiamo visti, vedi Frattesi, Raspadori, Scamacca, che sono approdati in nazionale. Quello delle seconde squadre è un tema importantissimo. Noi volevamo farlo l'anno scorso ma non ci è stato permesso dalla Federazione per un discorso di regole perché si è iscritta l'Atalanta e non ci sono tante possibilità, questa è stata anche una mia recriminazione perché se andiamo avanti così ci vogliono 20 anni. Ogni Lega guarda un po' a se stessa ed è un qualcosa a cui si sta lavorando. Questo deve essere un passaggio per noi dirigenti, ogni dirigente guarda il suo orticello, noi dirigenti dobbiamo guardare il sistema calcio. Oggi posso essere a Sassuolo, domani uno alla Juve e può cambiare, ma bisogna guardare il nostro sistema per portare a casa dei risultati buoni".
Daniele Orsato: "Parte tutto dalla società, la dottoressa Squinzi parlava dei propri genitori, vuol dire che i propri genitori hanno fatto un buon lavoro, nel senso che avere poi una squadra con delle figure giuste è importante. Si parla degli arbitri ma ci sono anche i genitori degli arbitri. Qualche settimana fa ero a vedere gli Esordienti, dove non hanno l'arbitro. C'era un ragazzino che si è messo ad arbitrare. Dopo qualche secondo un genitore si è messo a insultare l'arbitro. Io sapete cosa ho fatto? Ho cercato di individuare quale fosse suo figlio, una volta individuato cosa ho fatto? Ho iniziato a dire 'questo numero 4 è scarso, non lo vorrei mai nella mia squadra'. Dopo un po' questo genitore mi dà una pacca sulla spalla 'stai parlando male di mio figlio'. Io gli ho risposto 'lei è dall'inizio che sta insultando il mio, l'arbitro'. Gli arbitri nelle categorie minori prendono le botte. Io dico ai genitori che devono stare a casa se devono arrivare al campo per insultare, per dare consigli al figlio dove deve giocare, per prendere il posto degli allenatori".
"Gli arbitri sono abituati alle critiche. L'arbitro non vive così drammaticamente le critiche del giorno dopo, la nostra famiglia non è abituata alle critiche. I nostri figli, i nostri genitori, non sono abituati. Anch'io in passato ho vissuto dei momenti difficili ma per la mia famiglia e non per me. Poi succede che i miei figli devono andare 15 giorni con la scorta e questo non va bene, è questo che non accetto. Io fino a 7 mesi fa sono stato rappresentante di tutti gli arbitri italiani e ogni settimana minimo 5-6 arbitri venivano picchiati sul territorio arbitrale. Ragazzini che vanno ad arbitrare con lo scooter e gli staccano i fili, arbitri inseguiti in auto, questo non è accettabile. Parlo delle esperienze avute qui, Berardi non è un giocatore facile. Con altri giocatori che hanno un altro tipo di carattere parlavi in una certa maniera, magari con Berardi dovevi spiegare di più, avere magari anche un conflitto, poi con qualche partita, con la conoscenza, oppure dopo tanto tempo accettava. Deve esserci un passo dell'arbitro nei confronti del giocatore e anche del giocatore verso l'arbitro".
"La mia prima partita a San Siro era Bologna-Milan, mi ha designato Pierluigi Collina, il mio maestro, l'arbitro più importante al mondo. Mi disse 'non guardare il terzo anno di San Siro perché sei troppo piccolo e ti può mettere soggezione'. Io tirai il cartellino giallo a Maldini. Lui mi disse 'sai dove sei?'. Io gli dissi 'vivo in montagna, la tv non ce l'ho'. Quando arrivi per le prime volte in questi grandi palcoscenici sai vogliono vedere che carattere hai, io sono cresciuto nel mito di Agnolin e la personalità non mi è mai mancata. Il sistema è cambiato tanto. Siamo partiti dalla bandierine elettroniche al VAR. Il rapporto con i giocatori secondo me è migliorato tantissimo, si vedono meno scene di proteste, si va verso la figura del capitano che va dall'arbitro e dà spiegazioni. Mi piace questo protocollo messo in atto dalla UEFA perché non ci sono più quegli attacchi di massa all'arbitro dei giocatori. Io sono convinto che il rapporto con i giocatori è migliorato tantissimo a distanza di solamente 10 anni. Noi arbitri siamo una squadra ma la nostra squadra cambia tutte le domeniche. Il Sassuolo gioca sempre con la stessa squadra, noi arbitri abbiamo questa possibilità di utilizzare la stessa squadra agli Europei, nelle competizioni europei. A volte a me bastava guardare il movimento della testa per capire il mio assistente. Non possiamo pretendere questo però dai giovani. Si può migliorare sempre, tutti i giorni. Sarebbe un errore dire 'siamo arrivati a livello'. Ogni giorno vogliamo migliorarci e fare sempre meglio".
"Se l'arbitro non c'è bisogna arrivare a capire poi perché si è arrivati a quello. Noi siamo abituati sempre a cercare il colpevole, ma trovare una soluzione sarebbe il lato più importante su cui lavorare. Prima Carnevali diceva che ci sono degli aspetti da superare e io propongo agli arbitri più giovani di andare ad allenarsi con le squadre del proprio paese e sarebbe importante avere questa collaborazione, poi cosa succede, l'arbitro in settimana incontra quella squadra, ah ma la confidenza. No, non è confidenza, si chiama professionalità. Io a mio figlio non chiedo mai se ha vinto o ha perso, gli chiedo se si è divertito. Lui mi dice che si è divertito quando ha vinto e che non si è divertito quando ha perso. Quest'estate sono andato a vedere gli arbitri di Schio, i più giovani, la cosa più sorprendente era l'atteggiamento. I giocatori accettavano le decisioni ma le proteste venivano da fuori, molte problematiche nascevano dalle liti in tribuna. Un mio istruttore metteva la telecamera rivolta alla tribuna. Alla festa di Natale faceva vedere le immagini e in sala scendeva il gelo. Dobbiamo arrivare a questo? C'era un giocatore di Serie A, Zanetti, lo porto sempre come esempio. Molto spesso diceva 'vai avanti, non importa'. Immaginate nei nostri campi di periferia un allenatore che dice qualcosa del genere, questo ragazzo non si preoccupa più dell'errore e va avanti ad arbitrare. È facile e fare le cose facili ci rende la vita migliore".
"Deve chiedere all'amministratore se è disposto a tenermi qui fino alle 20 (ride, ndr). Se io devo discutere con Berardi di un fallo succede nella corsa, quando c'è una sostituzione, quando c'è un'azione statica, si parla del fallo, queste sono spiegazioni. L'arbitro durante le normali fasi di gioco ha un rapporto e un colloquio continuo. Voi questo non lo vedete perché l'immagine è sul pallone. Quando il gioco è fermo l'immagine va sull'arbitro e noi lo sappiamo questo, non siamo venuti giù con l'ultima piena. La gente vuole vedere i gol, le azioni, non credo che star lì a spiegare ogni azione poi la gente dopo un po' si stufa. Con gli episodi del VAR? Non è un protocollo che è in atto qui e noi siamo di cascata. Si parte dall'IFAB, si va alla UEFA e si arriva a noi. L'ultima partita? Avevo fatto una promessa a mia mamma che avrei smesso, potevo continuare per altri 2 anni, ma dopo l'Europeo dosso 'l'arbitro dentro di me oggi muore'. Nel senso 'devo far far fare l'arbitro agli altri. Io ho fatto il mio, sento dentro di me che adesso devo far fare l'arbitro agli altri. Ho tenuto le scarpe dell'esordio, il fischietto, la monetina, e mi sono messo a disposizione dei talenti perché il ruolo che abbiamo noi oggi è passare agli altri la nostra esperienza e da genitore mi accorgo che è quello il mestiere più difficile. Io mi sono emozionato nelle ultime gare ma perché per la prima volta mi sono detto 'bravo Daniele'. Nelle mie ultime partite me lo sono detto, 'bravo per quello che hai fatto, adesso vediamo cosa saprai fare'".
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