Francesco “Ciccio” Caputo è arrivato in Nazionale a 33 anni, quando a crederci era forse rimasto solo lui. Ci è arrivato grazie ai 37 gol segnati in due campionati di A con Empoli e Sassuolo, gli unici disputati per intero nella sua lunga carriera dopo aver assaggiato il massimo campionato nel 2010 per sole 12 giornate con la maglia del Bari. In queste due ultime stagioni solo Ronaldo e Immobile hanno segnato di più. L'attaccante neroverde si è raccontato a SportWeek, settimanale della Gazzetta dello Sport.

La popolarità?
"Se mi chiedono un autografo? 'Scherzi?! È una roba allucinante. Dovunque vada è tutto un Ciccio di qua, Ciccio di là. E mica solo a Sassuolo: dappertutto. Sono diventato una specie di eroe nazionale, e mi chiedo: ma cosa ho fatto per meritare tutta questa attenzione?"

Nazionale?
"Ho messo tutto me stesso perché questo sogno si avverasse. È un’emozione che non so descrivere, ora mi giocherò le mie carte fino in fondo".

A chi assomigli?
"Al presidente dell’Empoli, Corsi, ricordo Di Natale, uno che qualche gol l’ha fatto. A De Zerbi, il mio allenatore di oggi al Sassuolo, faccio invece venire in mente Schillaci e, in certi movimenti, Higuain. Posso sembrare poco fisico e poco tecnico, ma so io quello che metto in campo. E so che, quando c’è da mettere il fisico, metto il fisico, e quando c’è da mettere la tecnica, metto la tecnica".

Qual è la tua miglior qualità?
"È un anno che lavoro con De Zerbi, ed è un anno che il mister, ogni santo giorno, mi chiede: Ciccio, tu mi devi spiegare, a me, chi ti ha insegnato a smarcarti così. E io tutte le volte gli rispondo: mister, non mi ha insegnato nessuno, è una cosa che mi viene naturale.Io guardo dove sta il difensore e mi metto nella posizione migliore per fregarlo".

Sei come il vino?
"Direi proprio di sì. Più passano gli anni e meglio sto. Come mai? Penso che tutto dipenda dall’equilibrio, mentale e fisico, che ho raggiunto. Mi diverto, e, quando uno si diverte, è fatta. Praticamente mi sento un ragazzino. Ma solo in campo, eh. Fuori sono un uomo con delle responsabilità. Ho una moglie, Annamaria, tre figli – Sofia,11 anni a ottobre,Jacopo, 6, Brando, il numero uno della famiglia, una peste, di 4 – e un cane che è la mia ombra. Dove vado io, viene lui. Si chiama Leone".

Hai un modello?
"Dico la verità: no. Non pensavo di arrivare a certi livelli, perciò non mi azzardavo neanche a provare a copiare qualcuno. Però tutti sanno che il mio mito è sempre stato Del Piero".

E la cena poi te l'ha pagata?
"Purtroppo è rimasto bloccato a Los Angeles dal virus. Mi ha promesso che appena torna a Milano mi porta a cena".

Che persona sei oggi?
"È quello che vedete in campo. Quello che vuole spaccare il mondo. Mi sto togliendo tante soddisfazioni, grazie anche all’ambiente, società e squadra, che mi circonda. Io a Empoli sono stato benissimo e quando mister Andreazzoli è passato al Genoa ha fatto di tutto per portarmi con sé. Ma sono stato io a scegliere il Sassuolo. Conosco Giovanni Carnevali, il direttore generale della società, dai tempi del Bari. De Zerbi mi voleva con sé già al Foggia, in C, ma io non me la sentii di scendere di categoria, e poi ancora al Palermo. Tutti e due oggi lavorano per il Sassuolo: quando mi hanno chiamato ancora, ho capito che era destino che le nostre strade si incrociassero".

De Zerbi è pronto per una big?
"Secondo me lui vuole crescere ancora prima di spiccare il salto. Può migliorare l’organizzazione della fase difensiva, che l’anno scorso è stato un po’ il nostro tallone d’Achille, ma ha tutto per diventare un allenatore di primo livello. È un visionario alla Sacchi, fa calcio in maniera diversa da chiunque. Non lascia nulla caso, conosce tutti i giocatori. Non ci dorme la notte, per il pallone. Può sembrare pesante, ma, se impari a leggerlo, se lo segui, hai solo vantaggi".

La gavetta?
"Io non mi guardo mai indietro. Ognuno ha la carriera che si merita. Certamente in qualche occasione mi sono chiesto: ma perché nessuno mi offre la possibilità di giocare in A? In quei momenti è stato bravo il mio procuratore, Enrico Fedele. Mi diceva: “Se vuoi che arrivi l’occasione che cerchi, dobbiamo trovare una buona squadra di B che ti dia fiducia e insieme alla quale puntare alla A”. È quello che è successo a Empoli".

Calcioscommesse?
"La gavetta mi ha aiutato tantissimo, soprattutto quando si è trattato di ricominciare dopo aver perso un anno perché mi ero ingiustamente trovato invischiato nel calcioscommesse; una vicenda tanto, troppo più grande di me. Avevo anche pensato di smettere.La giustizia sportiva mi ha squalificato, e non commento. Dico solo che una cosa del genere non la auguro neanche al mio peggior nemico. Mi importa solo essere uscito pulito dal processo penale: mi sono sentito rivalutato come uomo".

Il cartello restate a casa?
"È stata una cosa nata al telefono con mia moglie, che sento sempre prima della partita. Annamaria mi fa: “Se segni, perché non fai qualcosa di speciale, per lanciare un messaggio in questo momento difficile?”.E io: “Amo’, cavolo, me lo dici adesso, un’ora prima della partita?”. Non ci penso più, poi mi arriva l’illuminazione quando entro in campo per il riscaldamento. Chiamo Massimiliano Fusani, il team manager: “Dammi un foglio bianco grande e un pennarello”. Scrivo, lo piego e glielo consegno: “Mettilo dentro la giacca e non dire niente. Se faccio gol, vengo da te e me lo dai”. Così, dopo aver segnato il primo, corro verso la panchina. Tutti aspettano di vedere chi avrei abbracciato, invece mi fermo davanti a Massimiliano: “Dammi il foglio”. Lui apre la giacca e il resto lo avete visto".

Riapertura degli stadi?
"Dalla ripresa ho fatto 9 gol e ho esultato solo coi miei compagni. Sarebbe giusto riaprire gli stadi anche a capienza ridotta, per dare un segnale. Non si può andare avanti così.Tra noi calciatori di queste cose parliamo".

Sezione: News / Data: Sab 05 settembre 2020 alle 11:25
Autore: Redazione SN / Twitter: @sassuolonews
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