L'ex allenatore del Sassuolo Roberto De Zerbi ha concesso un'intervista alla Gazzetta dello Sport. Il tecnico ha parlato della sua nuova esperienza in Premier League con il Brighton: "Io penso che se uno si comporta bene nella vita, fortuna e bene gli ritornano. In Ucraina è girata male, però mi sono comportato bene e ho avuto la fortuna di avere una chiamata così importante e prestigiosa. Ho accettato per due motivi: il primo è perché mi ero studiato la squadra e mi piaceva, anche se era un po’ distante dalla mia idea; il secondo è che il primo meeting a Londra con presidente, d.g. e d.s. è durato 5 ore, ma mi ha fatto capire tanto".

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Quanto c’è del suo Shakhtar nel Brighton?
"Tanto. All’inizio, sbagliando, facevo paragoni perché faticavo a togliermi lo Shakhtar dalla testa: sentivo come se mi avessero portato via una squadra che avevo costruito col presidente. Ma oggi dico che questo Brighton è la squadra che più di tutte mi somiglia, quella in cui mi riconosco di più caratterialmente, quella con cui ho avuto più rapporto umano, più sintonia".

Ha fatto un lavoro importante anche sulla mentalità.
"In questo discorso rischi di essere frainteso e passare per arrogante, ma per me l’ambizione non è arroganza: è un sogno da raggiungere, uno che ti motiva. Ti permette di costruire l’entusiasmo con la gente, che poi è quella che riempie il tuo stadio, motivare il tuo club. È rischioso avere l’asticella alta, perché puoi fallire, ma farlo ti permette di crescere più di quanto tu possa fare se la tieni bassa".

Dov’è la sua asticella?
"È arrivare in Europa, quale lo vedremo. Non penso alla semifinale di FA Cup, ma alle partite che ci sono prima in Premier che per me sono determinanti. Noi abbiamo 3 gare in meno: sembra un vantaggio, ma quelle 3 partite in più appesantiscono le altre perché non abbiamo una rosa lunghissima. Ma arriviamo preparati giusti, assatanati giusti".

Come reagisce quando sente Guardiola dire che sta cambiando la Premier, ha tutta l’attenzione su di lei?
"Sono 10 anni che alleno e ho imparato a stare in questo mondo. Adesso che i risultati ci stanno sorridendo, complimenti e belle parole si sprecano. Però è importante saperli decifrare. Io non voglio cambiare niente, solo fare quello che sono capace: dare una mia idea e una mia impronta alla squadra. Qui credo di esserci riuscito in un breve periodo, ma il merito è dei giocatori: in poco tempo sono riuscito a riproporre quello che voglio e che in modi diversi ho fatto anche allo Shakhtar, a Sassuolo, a Benevento e a Foggia. Io voglio divertirmi e fare le cose a modo mio".

Quando ha capito che divertirsi da allenatore sarebbe stato il suo mantra?
"Quando mi sono accorto di aver buttato una carriera da giocatore. Quando ho smesso mi sono accorto che, per quanto fossi e sia ancora malato di calcio, mi ero divertito uno o due anni, forse tre, in una carriera di 14. Ho cominciato ad allenare capendo che era come se potessi vivere una seconda vita sempre nello stesso ambiente, conoscendo gli errori che avevo fatto nella prima. Ed è una fortuna incredibile, perché se non sei stupido non ricommetti gli stessi errori. E allora mi sono prefissato di godermi appieno quello che non mi ero goduto da giocatore: gli stadi pieni, le grandi giocate, i caratteri. È un’altra cosa che mi piace molto, gestire il singolo anche quando può essere spigoloso: mi ricorda che anche io ero spigoloso, e che quando da giocatore ho trovato gente che mi sapeva prendere ho avuto un altro rendimento".

Pensa mai a quanto la sua vita è cambiata nell’ultimo anno?
"Qui in Premier mi porto dietro quello che sono io e l’esperienza in Ucraina. Il campionato è diverso e lo stile di vita è l’opposto, ma non mi ha cambiato tanto, perché io è da quando ho 13 anni che vivo solo per il calcio, che ha condizionato la mia vita in maniera fortissima. Fare calcio in Ucraina, in Inghilterra o in Germania non cambia molto. Anzi, quando finirò qui mi piacerebbe andare ancora in qualche altro Paese estero. Perché io ho dato tutto al calcio, così come il calcio ha dato tutto a me".

Come si trova in Inghilterra fuori dal campo?
"Brighton mi piace tantissimo, è molto particolare ma molto viva. La frequento pochissimo però. Ma la cosa che vorrei davvero migliorare è la lingua: l’inglese che studiamo in Italia è completamente diverso da quello che si parla in Inghilterra, e questo mi limita, mi crea disagi. Al campo ho il traduttore, quindi coi giocatori mi capisco. Però non riesco ad avere ancora il rapporto che vorrei perché la lingua mi limita. Avrei la curiosità di scoprire il paese, ma mi manca il tempo. Quindi metto Vasco Rossi nelle orecchie e vado avanti".

Sezione: Non solo Sasol / Data: Sab 25 marzo 2023 alle 17:38
Autore: Redazione SN / Twitter: @sassuolonews
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