Domani alle 18.30 il suo debutto a Kiev, contro l’Inhulec. Mister Roberto De Zerbi sta per tastare con mano il lavoro di questo primo mese abbondante con lo Shakhtar e nel frattempo, intervistato dalla Gazzetta dello Sport, ha parlato dei suoi obiettivi, del suo lavoro e anche, ovviamente, del Sassuolo Calcio e dei nazionali campioni d'Europa.
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Come procede l’ambientamento?
"Molto bene, il club è molto organizzato e non fa mancare niente. Alleno giocatori molto forti".
Quali sono gli obiettivi?
"Vincere il campionato. Poi dobbiamo comportarci bene nelle competizioni europee. Ad agosto dovremo affrontare il terzo turno preliminare di Champions contro il Genk e se lo supereremo, avremo il playoff".
Nell’Italia campione d’Europa, tre giocatori del suo Sassuolo: Locatelli, Berardi, Raspadori.
"Mi sono emozionato come un genitore, ma erano e sono dei giocatori forti, io ho soltanto cercato di trasmetter loro la mentalità dell’allenarsi sempre al 110 per cento, dell’essere protagonisti e non comprimari. E così è stato: quando Locatelli e Berardi sono entrati nella finale contro l’Inghilterra, l’hanno fatto col piglio giusto. Orgoglioso di loro".
Se li aspettava così?
"Berardi aveva soltanto bisogno di rimettersi in carreggiata. Su Locatelli e Raspadori mi viene da sorridere quando sento gli unanimi commenti positivi su entrambi, perché tempo fa molti si chiedevano se Locatelli fosse più o meno umile o con i piedi per terra, quando Manuel è un ragazzo d’oro. E per Raspadori si tirava fuori il metro per misurare quanto fosse alto...".
Locatelli è pronto per la Juve?
"Prontissimo, per la Juve e per un grande club europeo perché incarna tutto quello che un centrocampista deve essere oggi: è bravo nella costruzione e a inserirsi, dà quantità, in tre anni non gli ho visto perdere un contrasto. Ha personalità da vendere, è intelligente tatticamente, si presta a qualsiasi tipo di calcio. Raspadori sa giocare con la squadra in più ruoli d’attacco ed è forte nelle gambe".
Perché Berardi è ancora al Sassuolo?
"Perché ha sempre anteposto il divertimento alla carriera. Lo capisco perché io sto facendo la stessa cosa. Credo che non gli sia mai capitata l’occasione giusta, la situazione in cui sentirsi a suo agio. Non è vero che ha paura. Anzi, ha un grande carattere e lo dimostra il rigore battuto nella finale dell’Europeo. Vive secondo i suoi valori. Lo apprezzo molto: non è un arrivista, ma vuole essere se stesso".
Con Mancini vi siete sentiti prima dell’Europeo?
"Sì. Io sono un manciniano sfegatato. Quando ero giocatore, dopo Maradona il dieci che “amavo” di più era Roberto. Sono rimasto manciniano anche da allenatore. Sono pochi gli ex numeri 10 diventati allenatori".
Curioso, sia lei sia Mancini eravate due 10 insofferenti agli allenatori...
"Io ero molto insofferente e non sono cambiato tanto. Come giocatore ero serio, non un lazzarone, ma ero particolare, volevo divertirmi, toccare sempre la palla, essere nel vivo. Mi piaceva l’allenatore che trasmetteva le nozioni, ma mi prendevo la responsabilità della giocata, non facevo il soldatino. Da allenatore è lo stesso, cerco di dare tutto quello che serve ai giocatori, di disporli nelle posizioni più congeniali, poi voglio vedere personalità, carattere, coraggio. Devono essere attori protagonisti. Non muovo i giocatori con il joystick della playstation e odiavo quelli che lo facevano con me quando giocavo".
De Zerbi all’estero: non pensa che sia una sconfitta per la A?
"No, non credo che sia una sconfitta per nessuno. Ho avuto qualche contatto con squadre italiane. Al Sassuolo stavo benissimo e non l’avrei lasciato se non mi fossi accorto che era finito il mio tempo. Non volevo accontentarmi né vivacchiare, così sono andato via a malincuore. Un giorno mi piacerebbe tornare in Serie A, ma in una società dove mi sia permesso di lavorare secondo i miei modi. Io mi adeguo, ma loro devono adattarsi a me. Non mi ritengo per tutte le salse. A volte bisogna dire qualche no, è troppo facile dire sì a tutti e non essere se stessi in tutti i posti".
La nuova Serie A: come la vede dall’Ucraina?
"Conte si è fermato, però sono ritornati Mourinho, Allegri, Sarri e Spalletti. Un campionato bello e difficile. Juve e Inter sono sempre là davanti a tutti. Il Milan ha perso due giocatori importanti però si sta muovendo con intelligenza, e Pioli è una garanzia".
Le altre?
"Il Torino ritornerà sui livelli che gli competono perché Juric è un allenatore forte. L’Atalanta continuerà sulla strada intrapresa. Il Sassuolo ha tutto per fare ancora bene. La Fiorentina ha preso Italiano e dopo due stagioni i viola hanno una gran voglia di rifarsi. La Samp ha chiuso l’ultimo campionato al nono posto e con D’Aversa continuerà a essere una squadra solida, difficile da battere. Il Cagliari non ha una rosa da retrocessione. Sarà un campionato livellato e bello".
La costruzione dal basso, il suo marchio di fabbrica.
"Non mi piace che si butti via la palla. Non si deve costruire dal basso per forza. Se gli avversari ti pressano “alto” e tu non vuoi gettare il pallone, devi giocarlo. Se l’avversario ti aspetta nella propria metà campo, contro chi la fai la costruzione di gioco? Contro nessuno".
L’Italia ha vinto l’Europeo con un gioco nuovo. Addio catenaccio?
"Nessuna vergogna nel difendersi e ripartire, però a me non piace. La stampa si diverte a dividere noi allenatori tra giochisti e risultatisti, come se un giochista non volesse fare risultato. Non è così. Il mio modo di giocare mi rappresenta. Se fosse stata una moda, come dice qualche scienziato, mi sarei bruciato prima di iniziare".
Chi vincerà la Champions?
"Spero il Manchester City. Tempo fa alla Gazzetta ho detto che preferirei perdere la Champions con Guardiola anziché vincerla con un altro allenatore. Era una provocazione perché volevo sottolineare una cosa, questa: quando Guardiola vince la Premier League con 7-8 partite di anticipo, e con il miglior attacco e la miglior difesa, è un genio perché gioca senza centravanti; se però perde la finale di Champions senza centravanti, diventa un asino. Trovo poco coerenti queste valutazioni e tifo perché Pep vinca la Champions, così quelli che l’hanno criticato non avranno più argomenti".
Il Pallone d’oro?
"Se guardiamo ai trofei dico Jorginho, che ha vinto Champions ed Europeo. Messi rimane Messi e fino a quando giocherà, sarà tra i papabili. In passato il Pallone d’oro l’ha alzato un difensore come Cannavaro e allora, per lo spirito che ha messo all’Europeo, lo meriterebbe Chiellini".
Sarri ha detto: 'Jorginho è un giocatore raffinato, probabilmente non tutti lo capiscono'.
"Vero, è un centrocampista che fa giocare la squadra sia toccando la palla sia no e questo fa capire l’intelligenza che ha. Quando ero al Sassuolo dicevo a Maxime Lopez di osservarlo, perché Jorginho vede il calcio un’ora prima degli altri. Non è appariscente perché non fa il cambio di gioco di 80 metri, però assieme a Donnarumma, Bonucci e Chiellini è stato uno degli indispensabili dell’Italia all’Europeo".
Autore: Redazione SN / Twitter: @sassuolonews
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