Walter Veltroni intervista Manuel Locatelli sulle colonne della Gazzetta dello Sport. "Manuel è uno dei giocatori più interessanti del calcio italiano - scrive Veltroni - Centrocampista di qualità, con capacità offensive, visione di gioco. Ancora qualche distrazione di troppo nei disimpegni ma certamente uno dei nuovi talenti della nuova leva di centrocampisti che sta cambiando il calcio italiano. Barella, Pellegrini, Castrovilli, Tonali, Verratti, Pessina, Sensi... Ed è in mezzo al campo che nascono o muoiono i destini delle squadre di calcio". Il centrocampista del Sassuolo ha parlato della sua carriera. Ecco le sue dichiarazioni

Iniziamo dai primi calci, Locatelli...
"Ho cominciato in casa con mio fratello Mattia. Avevamo un giardinetto, ho cominciato a tirare calci al pallone con lui. Avrò avuto tre, quattro anni. Poi sono andato subito a giocare in oratorio. Eravamo un gruppo di famiglia perché c’era mio fratello, di due anni più grande, e mio padre che ci allenava. Era l’oratorio di Pescate, lì è cominciato tutto.. E’ proprio una passione della famiglia, il calcio".

Si ricorda il primo pallone della sua vita?
"Sì, giallo di spugna. Per giocare in casa senza rompere le cose".

E che cosa c’era nella sua stanza di calcio?
"C’erano i manifesti, l’album delle figurine Panini sempre pieno e ovviamente il poster di Pirlo, che è sempre stato il mio idolo. Poi tutte cose riguardanti il calcio, la mia mania. Campeggiavano le immagini dei campioni, da Totti a Kakà. Ero ossessionato, una magnifica ossessione, dal football. Seguivo ogni cosa e amavo i giocatori più forti: Del Piero, Maldini...".

I suoi genitori che lavoro fanno?
"Mio padre lavora in banca e mia mamma la casalinga. La fortuna è stata che mio papà, lavorando in banca, mi ha aiutato a gestire tutto della mia crescita e della mia attività. Mia mamma, essendo casalinga, è sempre stata presente, un vero sostegno. Nella scuola, nella vita privata, in tutto. I miei genitori mi hanno accompagnato sempre e hanno fatto immensi sacrifici per me. Non posso, non potrò dimenticarlo".

Ricorda una cosa che le abbiano detto suo padre o sua madre che l’ha colpita, che le è rimasta dentro?
"Sì. E’ stato quando ho firmato il mio primo contratto importante da professionista. Io ero entusiasta, non stavo nella pelle. Invece lui si è messo a piangere perché ha detto “Manuel, questi soldi possono essere la tua rovina, se non li gestisci bene puoi perdere la testa”. Invece lui mi ha insegnato il valore della responsabilità e a tenere sempre la testa sulle spalle. Questo è stato un momento del nostro rapporto che mi ha colpito. La mia gioia si trasformò in crescita umana. Poi ci sono tantissimi momenti, anche più minuti. Per esempio quando ero ragazzo e alla fine delle partite ne parlavo con mia madre, mentre stirava giù in taverna. Ora non viviamo più insieme però quei momenti semplici, piccoli, li porterò sempre con me nel cuore".

A quanti anni è andato via da casa?
"Fortunatamente tardi. Dico fortunatamente perché a casa si sta sempre bene. Non ho fatto come miei colleghi che sono partiti bambini. Avevo diciassette anni quando sono andato a vivere in convitto a Milano. Non riuscivo più a frequentare la scuola a Lecco e poi ad andare ad allenarmi a Milano. Sono andato in convitto, seguendone le regole, a diciassette anni".

E come è stato il distacco dalla famiglia?
"Il distacco dalla famiglia per me, che sono molto legato ai miei, è stato pesante. La mattina non mi svegliavo nel mio letto a Lecco, non li vedevo più tutti i giorni e non tornavo a casa a cenare con loro. Ero un ragazzo, ed è stato pesante. Infatti ogni volta che finiva la settimana, la Primavera giocava di sabato, io correvo a prendere il treno per passare la domenica con loro, a casa. Quando poi tornavo a Milano ogni volta avevo il magone. Il momento più duro era quello dei saluti, perché sapevo di non vederli per altri sei giorni. Per me era pesante".

Che studi ha fatto?
"Sono diplomato in ragioneria però ho fatto anche il liceo delle scienze umane. Ho cambiato delle scuole perché gli impegni erano via via sempre maggiori. Sono riuscito a diplomarmi in ragioneria ed è stata una soddisfazione. Perché nella vita non si sa mai come vanno a finire le cose. Ma è stata una gioia anche per i miei genitori, perché hanno sempre creduto che questo fosse importante per me. Sono stato davvero contento di aver regalato a loro questa piccola soddisfazione".

Quale è la maglietta alla quale lei è più legato? Se dovesse portare su un’isola deserta una maglietta, una di una partita, di una sola partita, quale porterebbe?
"Penso quella dell’esordio in Nazionale perché, al di là di quella dell’esordio in serie A, la prima partita in Nazionale è il punto più alto che io abbia vissuto. Almeno fino a ora. Era il mio sogno da bambino, in quella stanza tappezzata di poster di campioni. Era il mio sogno da bambino, quando attaccavo le figurine Panini all’album. Quel sogno, mentre infilavo la maglietta azzurra nello spogliatoio, si era realizzato. Cosa può accadere di più bello?".

Cosa ha di particolare il Sassuolo? E’ una piccola società in vetta alla classifica...
"E’ semplice. O forse molto difficile. La particolarità del Sassuolo è che qui ti senti a casa, ogni momento. Loro sono genuini, sono persone che lavorano tutte per farti stare bene. Tutti, dal magazziniere al direttore, sono persone perbene, dedicate al solo obiettivo di far crescere questa società. Penso che li scelgano sulla base di criteri rigidi che li rendono molto simili l’uno all’altro. Sono tutte brave persone che hanno un solo obiettivo, far stare bene i giocatori e puntare al risultato. Questo gruppo di lavoro per me è come una seconda famiglia".

E Roberto De Zerbi com’è?
"Il mister mi ha cambiato la vita. Ora sono visto come un altro giocatore e come un’altra persona, migliore. Ho dovuto staccarmi di dosso l’etichetta che avevo e ci sono riuscito, grazie a lui. Lo ringrazierò sempre perché mi ha fatto rendere al meglio e maturare, in campo e fuori. Devo ancora crescere tanto, ne sono cosciente. Però la squadra ed io abbiamo raggiunto risultati importanti, insieme. E questo è, in primo luogo, merito suo".

Quale era questa etichetta che ha dovuto staccarsi di dosso?
"Avevo l’etichetta di essere incompiuto, che doveva sempre arrivare la definitiva consacrazione, che non ero completo. Purtroppo all’inizio ho vissuto tutto troppo velocemente, è successo tutto subito. Ci si attendeva che dimostrassi cose per le quali non ero ancora pronto. Ora invece, passo dopo passo, sto dimostrando di poter essere all’altezza delle aspettative e mi sono preso delle belle rivincite".

Quanto è importante nella vita sapere aspettare?
QPer me saper aspettare è tanto importante quanto difficile perché si vuole sempre raggiungere il massimo subito. Ma penso sia la costanza, la dedizione al lavoro e ai minimi dettagli che ti fa raggiungere grandi risultati. Quindi bisogna saper aspettare. Poi devi essere bravo a sfruttare il tuo momento. Non devi pensare mai di essere arrivato. Ci vogliono pazienza, umiltà, costanza e tanto lavoro per raggiungere grandi risultati".

E’ vero, come io credo, che i centrocampisti devono avere una intelligenza particolare?
"Sì, sono d’accordo. Credo che il centrocampista sia il ruolo più difficile. Deve essere il primo a difendere, ad aiutare i difensori ma deve essere anche il primo a spingere gli attaccanti a fare gol. Poi deve gestire la squadra in campo, deve riuscire a guidare i compagni. Deve essere l’intelligenza che collega, scandisce i tempi e coordina sia l’attacco che la difesa".

C’è finalmente una generazione di buoni centrocampisti italiani. Cosa è successo perché dopo tanti anni di fatica sia emersa questa nuova leva?
"Non lo so. Sicuramente è una cosa positiva che ci sia concorrenza perché è sempre concorrenza pulita, tra professionisti che spesso sono anche amici. Sono veramente tutti bravi ragazzi, simpatici, ed è un piacere giocare con loro. Vede, anche qui si è solo dovuto aspettare e dare la chance a chi se la meritava. Poi la chance è stata sfruttata e ora ci sono tanti centrocampisti che giocano titolari nei loro club e alimentano la nazionale".

A parte Pirlo c’è un centrocampista al quale lei si è ispirato?
"Sì, Toni Kroos del Real Madrid. Ha l’eleganza e la fantasia dei grandi giocatori. E’ al Real Madrid da tanti anni, ha vinto tutto ma gioca sempre, ha una costanza impressionante. Un esempio".

Come sta vivendo il Covid?
"Una situazione particolare per tutti. Io vivo con la mia ragazza, ho fatto lockdown con lei. E’ stato difficile ma ci siamo aiutati a vicenda. Lei è una ragazza straordinaria e per me è molto importante che sia nella mia vita. E’ una situazione particolare per tutti, specie per chi soffre, per chi ha perso qualcuno. Sono consapevole che noi siamo dei privilegiati, comunque economicamente possiamo dare una mano e nel nostro privato lo facciamo. Una situazione così purtroppo nessuno se la sarebbe mai aspettata. Dobbiamo cercare di mantenere il più possibile le distanze, cercare di seguire i protocolli per tamponare questo virus maledetto. E soprattutto dobbiamo lavorare tutti insieme. Siamo tutti sulla stessa barca, non dimentichiamolo mai".

E’ difficile giocare nel silenzio?
"Sì, è difficile perché sentire l’entusiasmo della gente ti condiziona, ti coinvolge e ti trasferisce energia. E’ difficile, è triste. Però ogni volta che vado in campo penso che la gente ci guarda da casa ed è lì con noi. Noi dobbiamo giocare per chi ci guarda, per i tifosi, gli sportivi e credo che facciamo sempre il massimo anche per loro".

Quel gol importante che lei fece con il Milan alla Juventus quanto è stato importante e quanto invece è stato una dannazione?
"Voglio cogliere questa occasione per dire alla Gazzetta che io il Milan lo ringrazierò per tutta la vita e non gli vorrò mai del male. Il Milan è stato casa mia e quindi non si parla mai male di casa. Nonostante tutto quello che si è detto io il Milan lo ringrazierò sempre. Poi le cose non sono andate come dovevano ma del Milan parlerò sempre bene. Quel gol è stato un’arma a doppio taglio. Mi ha dato una gioia immensa: segnare a quel portiere, a quel campione un gol così è stata una cosa incredibile. Poi difficile da gestire perché mi si chiedeva sempre di fare gol spettacolari, le aspettative sono balzate alle stelle e quindi è stato complicato. Non ero pronto, sicuramente per demeriti miei. Ma ora vedo le cose in maniera differente e sono cosciente che quel gol rimarrà nella storia, sicuramente nel mio cuore".

Che tipo di allenatore è Roberto Mancini?
"Io ne avevo sempre sentito parlare bene. Con me è stato molto corretto, non mi aspettavo di giocare con l’Olanda, mi ha fatto stare tranquillo e spero di aver ripagato la sua fiducia. Credo che il segreto di Mancini sia lasciare il gruppo in serenità e creare un’armonia all’interno della squadra. Con lui la Nazionale gioca bene, ci sono giocatori di vero talento e i risultati vengono. Sa coinvolgere tutti e creare un’atmosfera serena. Personalmente lo ringrazierò per sempre per avermi regalato il momento più bello della mia carriera. Per avermi fatto realizzare quel sogno".

Torniamo solo un attimo al calcio e il Covid. Ormai tutte le partite finiscono 4 a 3, 7 a 2, 5 a 3. Insomma c’è una quantità di gol che non si era mai vista nel calcio italiano. Come lo spiega?
"Le squadre cercano di attaccare di più rispetto ad altri anni. Penso che sia un campionato molto competitivo, perché qualunque squadra ti crea difficoltà. La voglia di fare gol ti porta anche a subirne. Magari peserà anche la minore pressione con gli stadi vuoti. Credo che l’equilibrio renda molto più divertente il campionato e credo che possa essere un bel campionato, questo strano torneo del 2020".

Dove può arrivare il Sassuolo?
"Non ci poniamo limiti. Ora siamo nella testa della classifica ma bisogna pensare partita dopo partita. L’obiettivo del Sassuolo è sempre stato la salvezza ma quest’anno dobbiamo puntare all’Europa perché ce lo meritiamo, perché abbiamo giocatori giusti, un mister giusto e la società giusta. L’obiettivo deve essere quello, non ci dobbiamo nascondere e però dobbiamo avere l’umiltà e la costanza di raggiungere i nostri obiettivi pensando veramente domenica dopo domenica".

Il Sassuolo è la nuova Atalanta?
"L’Atalanta è un esempio che si può raggiungere, ma sappiamo che il percorso che ha fatto la Dea è incredibile e i meriti vanno dati tutti a loro. Non so se possiamo essere come loro, ma sicuramente sono un esempio da seguire. Nulla è impossibile, per nessuno".

Sezione: News / Data: Mer 11 novembre 2020 alle 10:03
Autore: Redazione SN / Twitter: @sassuolonews
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