Francesco Farioli, a sorpresa, ha lasciato il Sassuolo per firmare con l'Alanyaspor in Turchia, dove è diventato vice-allenatore del club turco. L'ormai ex preparatore dei portieri con De Zerbi a Sassuolo e Benevento è intervenuto a TMW Radio, nel corso della trasmissione Stadio Aperto, condotta da Francesco Benvenuti e Niccolò Ceccarini. Belle le sue parole sull'esperienza a Sassuolo e sul lavoro con De Zerbi. Ecco le sue parole: "La proposta è arrivata subito dopo la fine del campionato, un qualcosa che mi ha sorpreso, di inaspettato soprattutto perché mi sposterà e farà fare altre cose rispetto a questi dodici anni di percorso, anche se ho avuto sempre una tendenza e un piacere allo studio del gioco. Spero possa essere un passaggio in più per completarmi".
Quanto è stato stimolante andare di pari passo con l'evoluzione del ruolo del portiere?
"Il calcio degli ultimi 7-8 anni, ma soprattutto degli ultimi 3-4, ha subito un'accelerata incredibile per conoscenze e ricerca che si attua nel calcio. Il ruolo del portiere è quello che più di tutti rappresenta questa evoluzione. Abbiamo avuto la fortuna di avere due interpreti come Consigli e Pegolo, fortissimi e tradizionali italiani che con curiosità e lavoro hanno avuto il coraggio di rimettersi in discussione, diventando totalmente moderni. Un passaggio dal calcio di un tempo a quello di oggi e domani, e anche la mia storia è così. Per anni si è immaginato l'allenatore dei portieri come custode della tecnica, mentre nella fortuna di poter lavorare con De Zerbi mi sono trovato a fare quasi tutto fuorché quello: è uno staff in cui quasi ogni decisione è condivisa e ideata dal gruppo, col mister come ultimo e massimo esponente. Un modo di lavorare totalmente diverso: oggi il portiere ha sì la maglia diversa, ma è come se fosse un jolly nelle esercitazioni, in certe fasi ti dà la superiorità. Oltre ad evitarle, genera occasioni da gol: il percorso è tracciato chiaramente".
Consigli è stato il portiere in Europa col maggior numero di filtranti riusciti. Sorpreso?
"Andrea negli ultimi due anni ha regalato più di un record: quello precedente ha parato più rigori di tutti in Serie A, bravo a non dimenticarsi l'altro lato della medaglia. Se parliamo della specificità di Andrea, abbiamo portato un'idea e cercato di trasferirla nel miglior modo, trovando disponibilità dall'altra parte. Pegolo, Turati e Russo anche hanno garantito standardmolto alti. Il futuro è adesso: già nel post-lockdown abbiamo visto e conosciuto un calcio diverso dal pre-Covid, il flusso transitato durante la sosta è stato decisivo: tante persone hanno potuto accedere alle conoscenze con facilità grazie a varie iniziative che sono proliferate. C'è chi dice che gli stadi vuoti hanno favorito alcuni tentativi e ricerche, chi ha saputo creare qualcosa di diverso può generare un futuro ben più presente di quanto ancora non si comprenda. Il calcio del Sassuolo e di De Zerbi non è ancora sbarcato, non è totalmente capito e apprezzato. Quando avverrà, e sarà respirato in ogni molecola, allora sarà valorizzato per quello che è: quel modo di fare calcio è totalmente un altro sport rispetto a quanto abbiamo conosciuto per tanti anni. Credo sia questione di tempi e mi piace che buona parte della stampa usi delle parole che hanno un suono differente, un gergo molto più tecnico e tattico che dà valore alle cose che si vedono e vengono fatte in campo. Altrimenti il rischio è di rimanere sempre indietro: se penso alla differenza tra calcio italiano e tedesco, che fa scuola per capacità di innovarsi e rinnovarsi, mi viene da dire che la differenza sta nel linguaggio calcistico, molto più dettagliato in Germania. Dobbiamo cercare di superare questo grande limite, o ci bloccherà sempre verso quell'evoluzione che ci deve riportare a quei livelli che il calcio italiano deve vivere".
De Zerbi è più pronto per una big, o deve essere la big più pronta per De Zerbi?
"Sicuramente lui è pronto, e credo pure le big siano pronte a sposare le idee del mister: è un percorso ovvio per quanto ha fatto vedere prima in Serie C e poi in Serie A. Ha dimostrato che certe cose si possono fare in ogni categoria: la sua idea è tanto forte e virale che una volta entrato in contatto con ambiente e collaboratori, entra nelle vene e una volta che comincia a circolare diventa impossibile farne a meno. Non si vede più nessun calcio diverso da quello. Credo che sia soltanto una questione di tempo: quando la capacità incontrerà l'opportunità sarà sicuramente un matrimonio felice, non ho alcun dubbio".
La scelta di rinunciarvi, quindi, è stata dura?
"Oltre a chiudere un capitolo professionale, è una quotidianità che oggi ho con altre persone, è diventato un pezzo di me, forse il più grande. Passavamo insieme tantissimo tempo, la scelta non l'ho presa a cuor leggero ma a spingermi su questo percorso è la voglia di una responsabilità in più, di misurare me stesso in un contesto e una cultura completamente diversi. La mia scelta è stata coerente col mio modo di essere e di fare, avrei potuto continuare a lavorare dov'ero, visto che era il posto sempre sognato. Ad un mio ex portiere anni fa, quando ancora il mister non lo conoscevo, scrissi un messaggio dove dicevo che il mio sogno sarebbe stato di lavorare con De Zerbi: da lì a due anni ci sono finito davvero, e per me è il massimo esponente del calcio che amo, più di Guardiola, Arteta o chiunque altro. Posso dire di aver lavorato col migliore su piazza, poi mi è arrivata una chiamata interiore. Spero di poter avere ora la capacità di mettere insieme la necessità di produrre risultati, far crescere calciatori e nel frattempo far maturare anche le mie idee nei tempi migliori possibili. Questo è alla base della mia volontà".
Riavvolgiamo il nastro, ci racconta la sua esperienza in Qatar?
"Dieci anni fa, quando è iniziato il programma delle Nazionali giovanili, era veramente un costruire sul niente. Qualcuno ha avuto la forza di immaginare cose impossibili. La cosa più bella di questo sogno e di guardare oltre ogni confine è stata la vittoria dell'Asian Cup con un gruppo di lavoro che ha rappresentato l'evoluzione del percorso del Qatar. I '96-'97 della prima squadra hanno fatto l'intero percorso iniziando dall'U14. Nel 2019 c'è stato il coronamento di questo percorso, che ha visto crescere sia i giocatori che l'allenatore e il gruppo: questo Mondiale sarà una soddisfazione incredibile. Per quanto mi riguarda, è un'esperienza che mi ha stravolto: ho potuto vivere fianco a fianco per due anni con l'attuale ds della Real Sociedad, un visionario, un genio assoluto del calcio. Posso dire che ancora oggi lì ci siano i miei migliori amici, anche se viviamo in parti di Mondo diverse. Per esempio c'è la storia di Miguel Angel Ramirez, allenatore con cui ho lavorato negli ultimi due anni, andato poi a lavorare in Ecuador prima di vincere l'anno scorso la Copa Sudamericana con una squadra outsider. Lavoro, idee e voglia di fare le cose in un certo modo hanno permesso di raggiungere quel traguardo storico: dal Qatar sono venuto via col cuore pieno di emozioni e ricordi.
Più il calcio una metafora della vita o la vita una metafora del calcio?
"Mi viene da dire che vanno esattamente di pari passo le due frasi. In un certo modo di fare calcio ce n'è uno di vivere, e viceversa. Esiste una sorta di equilibrio dinamico, sono due cose inscindibili".
Autore: Redazione SN / Twitter: @sassuolonews
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